Giovanni Pagliero, Cavalieri erranti. Gli spiemontizzati nel declino degli antichi regimi

 

Giovanni Pagliero, Cavalieri erranti. Gli spiemontizzati nel declino degli antichi regimi, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2010, pp. 259. 

 

   Com’è noto, Carlo Dionisotti definì “spiemontizzati” alcuni intellettuali e scrittori del Settecento che da Torino si allontanarono verso altre città italiane o verso le maggiori capitali europee. 

   Di loro si occupa, nei saggi di questo volume, Giovanni Pagliero, disegnando un percorso che dalla metà del diciottesimo secolo arriva sino agli inizi dell’Ottocento; e trattando non soltanto di Alfieri, ma di Giuseppe Baretti (che si autodefiniva per l’appunto “un cavaliere errante”), dell’abate Denina, del conte Orsini di Orbassano, del diplomatico Carlo Bossi, del poeta dialettale Edoardo Calvo e del viaggiatore casalese Carlo Vidua. Personalità notevolmente diverse per orientamenti ideologici, per provenienza e per vicissitudini biografiche, nonostante la comune esperienza di un esilio più o meno volontario.
   Si parte da un paio di capitoli dedicati alle accademie della “provincia” piemontese legate alla galassia dell’Arcadia (gli Innominati di Bra e i Fossanesi) e ai loro rapporti con la capitale, ove emergono le figure del conte Bava di San Paolo, della poeta Benedetta Clotilde Lunelli e del padre Guglielmo Della Valle, futuro cultore dell’arte senese. 

   Del Baretti si rivisita l’esperienza di emigrato oltre Manica in relazione con Fielding, Boswell e Johnson, ponendo particolare attenzione alla sua condizione di “prolétaire des lettres” (Jonard), alla sua corrispondenza con i conterranei e ai giudizi sugli italiani, sul Piemonte e sui Valdesi. 

   Quanto allo storiografo Carlo Denina, che nel 1782 raggiunge la Berlino di Federico II, se ne ripercorrono le numerose edizioni del Discorso sopra le vicende della letteratura, evidenziando il carattere eclettico, enciclopedico e cosmopolita della sua opera, il ruolo di antesignano del comparativismo, l’interesse rivolto alle istituzioni scolastiche e al pensiero filosofico e scientifico, il contributo alle dottrine climatologiche, la promozione dell’associazionismo e dell’istruzione femminile, l’appello al mecenatismo, la rivendicazione della libertà di stampa e le tesi ecumeniche ante litteram in materia di rapporti con le Chiese riformate. Specifici approfondimenti vengono dedicati alla sua attività di giornalista (i fascicoli del “Parlamento Ottaviano”), ai saggi sulla lingua - ove si afferma la superiorità del francese - e al trattato d’impronta cesarista sui Concordati, edito nella Parigi napoleonica che lo accoglieva come bibliotecario dell’Imperatore. 

   L’Alfieri politico e il suo rapporto con la tematica religiosa sono oggetto del capitolo sui Santi, martiri e capisetta, ove dal richiamo alle sei “anella” del cattolicesimo si giunge all’esaltazione dei “santi di libertà” e del legislatore Mosè, nonché degli “errori utili” e di una letteratura agiografica atta a produrre l’eroico sulla falsariga di Plutarco. 

Del nobile Risbaldo Orsini - che redige (alla vigilia dell’89) vari Elogi dei regnanti sabaudi - si indaga l’anacronistica utopia regalista, non disgiunta, peraltro, dall’adesione al giurisdizionalismo in chiave giansenista e dall’invito ad abbandonare la lingua latina nelle iscrizioni (“viviamo con li costumi degli Antichi, ma usiamo le parole dei Moderni”), mentre di Carlo Bossi si esaminano la giovanile produzione teatrale (le tragedie Rea Silvia e i Circassi, di matrice rousseauviana) e le raccolte poetiche oscillanti tra Arcadia giacobina e poesia civile di marca illuminista. 

   Infine, gli ultimi capitoli sono dedicati al medico Edoardo Calvo, che traduce il proprio spirito polemico e la propria volontà di rivolta nelle strofe dialettali delle Favole redatte sul modello esopiano, e a Carlo Vidua, di cui si illustrano i manoscritti concernenti il viaggio compiuto tra Damasco e Palmira nel 1820, corredate da acute osservazioni - di carattere etnografico e antropologico - che ruotano intorno ai temi del “primitivo” e del “genio” delle nazioni. 

   Di ciascuno degli autori indicati vengono recuperati e analizzati alcuni testi epistolari. Si va dalle lettere degli arcadi piemontesi al custode d’Arcadia Sebastiano Pizzi ai carteggi dell’erudito albese Giuseppe Vernazza e di Tommaso Valperga di Caluso, dalle barettiane Lettere sparse raccolte da Franco Fido alle pagine che il Denina indirizza - ai “fari” della cultura subalpina e al principe Borghese - dalla Prussia e dalle Tuileries (per non dire delle sue odeporiche Lettere brandeburghesi), dalle missive di Alfieri alla madre a quelle del Bossi ai compagni giacobini e a Talleyrand, o del Vidua a Roberto D’Azeglio. 

   Sottesa all’intera ricerca è la rilevazione dell’apporto recato in varie forme dagli “spiemontizzati” alla gestazione del Piemonte prerisorgimentale e del suo rapporto con le altre aree della penisola e con l’Europa.

 

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